“Meglio una figlia morta che lesbica”. Il padre non lo accetta, la stupra per punirla. Choc nella provincia italiana. Ma è tutta la famiglia a commettere orrori contro la 15enne


Sembra incredibile che una vicenda come quella che vi stiamo per raccontare sia avvenuta ai giorni nostri e che, soprattutto sia una storia tutta italiana. Eppure è così. Tutto inizia con una constatazione di due genitore, per loro gravissima: la figlia è gay. Ed è proprio nella piena consapevolezza che inizia l’incubo per questa ragazza palermitana di 23 anni. “Meglio una figlia morta che lesbica”, queste furono le parole pronunciate otto anni fa dalla madre di Francesca, la cui drammatica storia viene riportata oggi da Repubblica.

Quando i genitori della ragazza scoprirono l’orientamento sessuale della figlia, arrivarono le percosse e perfino lo stupro. Ma cosa successe in particolare? Approfittando dell’assenza della moglie, il padre abusò della giovane per punirla. Oggi, a distanza di anni dal dramma subito, la ragazza ha finalmente trovato il coraggio di denunciare e raccontare la sua storia: Francesca ha deciso di costituirsi parte civile contro i suoi genitori, che la sostituta procuratrice di Termini Imerese Annadomenica Gallucci vuole portare a processo con accuse pesanti. (Continua dopo la foto)



“Maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori”. Hanno anche fatto tre giorni di carcere. Loro negano, hanno sempre negato. Sicuri del silenzio della comunità in cui vivono. È un paese della provincia di Palermo, che faceva finta di non vedere, di non sentire. Anzi, aiutava sempre il padre a ritrovare la figlia, quando lei scappava. Secondo la testimonianza della ragazza, Francesca aveva solo 15 anni quando la madre e il padre scoprirono quale fosse il suo orientamento sessuale attraverso degli sms scambiati con le amiche. (Continua dopo la foto)






A raccontarlo è stata la ragazza stessa: “Mi tagliavo i capelli e vestivo maschile la mia famiglia aveva già capito qualcosa delle mie scelte. Poi, una mattina ho lasciato il cellulare a casa, mia sorella ha letto i messaggi e li ha fatti vedere a mio padre. Quel giorno, sono corsi a scuola a prendermi. Tutti. Mio padre, mia madre, mia sorella e il suo fidanzato. E mentre eravamo in macchina, mi davano botte in testa, nelle gambe, mi davano botte dappertutto”. Un oltraggio che questa famiglia siciliana non poteva “sostenere”, come se il “peso” fosse dei genitori e non della figlia, che già doveva affrontare il suo outing e una società non ancora predisposta all’accettazione naturale della comunità Lgbt. La famiglia andò a prenderla a scuola e, una volta riportata a casa, la rinchiuse nella sua camera. Solo qualche ora dopo, suo padre approfittò di lei per punirla. Fu allora che il padre si spogliò, dicendo: “Tu queste cose devi guardare, non le donne”. (Continua dopo la foto)



 


E la violentò […] Dopo gli abusi una sequenza di messaggi alle sue amiche. Lo stesso sms per tutte: “Buttana, lascia stare a mia figlia”. E poi distrussero il cellulare della ragazza. Nel tempo, la giovane ha tentato il suicidio per ben 3 volte e, una volta compiuta la maggiore età, è fuggita di casa, lasciandosi alle spalle quella famiglia violenta e un paese che sapeva tutto ma si nascondeva dietro l’omertà. Dopo aver abbandonato la propria abitazione natale, Francesca ha vissuto in una comunità protetta per diverso tempo e solo poi è giunta alla decisione di denunciare. Ora per i due genitori si mette male, la sostituta procuratrice di Termini Imerese Annadomenica Gallucci ha tutte le carte in tavola per richiedere una pena esemplare al giudice.

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